Gurrera Baldassare – Idilliche visioni


POESIE
Gli aironi  –   Adragna  –   Adranone  –   I gigli –   Sicilia  –   Vecchio Serrone   –   Il forno  –   La festa  –   Paese mio  –   Marzo  –  Mattinata  –  Lago Arancio 


Nel suo complesso la letteratura, nei suoi vari generi, è riconducibile all’esplicitazione di esperienze vissute o intuite o scandagliate nell’animo umano dallo scrittore sia narratore, poeta, drammaturgo.

Non si può negare che il pensiero e la sua elaborazione nelle forme e nei generi letterari è il riflesso di introspezioni di immagini che altrimenti possono essere definite “ricordi” É vero che “lo stile è l’uomo”; ma è pur vero che quanto viene scritto è dello scrittore che scrive, nel senso che gli appartiene, che è suo come cosa vissuta anche quando, parlando in terza persona e con le commistioni che l’ingegneria letteraria gli suggerisce, ci crea l’impressione che parli di cose appartenenti ad altri mondi interiori, ad altre terre dell’anima.

Scorrendo le pagine deliziose di questo narratore non si può fare a meno di rievocare i poeti e gli scrittori delle “agresti gioie” delle “bucoliche” e delle “georgiche”. Egli è il cantore delle cose semplici, di quelle piccole nel senso che hanno una loro grandiosità non commensurabile con le volumetrie terrestri.

 


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GLI AIRONI

Tinta di rosso
l’acqua ribolliva;
sterminio di folaghe
nel lago.
Ora è la volta vostra,
poveri aironi!
Facile bersaglio
al cacciatore,
v’insidia nascosto< >tra le canne,
mentre portate
nelle penne
il candore della pace.
Della vostra carne
alcun si ciba;
il corpo imbalsamato:
vile ornamento
delle case..

TORNA SU

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ADRAGNA

Ci rifugiammo<
nelle tue case
quando il sisma
ci cacciò dal paese.
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Mi piaci, Adragna
sotto la coltre
di neve che inverno
stende ai tuoi
piedi.
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Ammiro i dolci
declivi risonanti
di canti d’uccelli<
in aprile.
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Se avvampa il sole
di luglio, ci offri
le ombre odorose.
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Calata la sera,
splendente di luci
a settembre, mi sembri
monile di perle
al collo di donna
preziosa.
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Viene ottobre
e tu resti sola,
mentre il magico
autunno ti veste
di porpora e d’oro.

TORNA SU

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ADRANONE

Entro la cerchia
di mura
d’Adranone
fluisce il tempo;
qui, ipotetico
orologio,
non segna ore
nel suo quadrante,
ma secoli,
millenni.

TORNA SU

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I GIGLI

Dalla salmastra spiaggia
ho preso i bulbi,
per trapiantarli là,
nella campagna.
Dapprima uno, un altro,
>tanti: sono spuntati,
come per incanto,
candidi gigli selvatici,
olezzanti.
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E mentre nell’aria
di settembre, si spande
il loro profumo
qui in collina,
assieme a quello
di una rosa tardiva,
gli altri, i fratelli,
cullati da brezza marina,
continuano a fiorir
lungo la riva.

TORNA SU

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SICILIA

Pura gemma caduta<
in mezzo al mare!
tante isolette usciron
dalle acque, per ammirare
sbigottite il tuo fulgore.
La bellezza è in te
connaturata.
L’oblìo in cui sempre
ti han tenuta,
nulla toglie alle
fattezze originarie.
Se la campagna all’interno
è trascurata,
al primo tocco della Primavera
spuntan fiori di campo
in ogni dove.
“Isola del sole”, un dì
fosti chiamata.
Odorosa di zagare,
ricca di ulivi, mandorli
e carrubbi;
ridente di biade
e grappoli dorati.
Se i figli son costretti
ad emigrare,
l’effige tua nel cuore
hanno scolpita.

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VECCHIO SERRONE

Vecchio Serròne! Con quale gioia ti rivedo!
Un pò cambiata è la tua veste, ma intatto il tuo cuore.

Mi ospitasti fanciulletto quando,
tra l’infuriare dei primi temporali autunnali,
mi rifugiavo sul tuo grembo, madre mia,
guardando atterrito le nubi nere,
sulle quali rotolavano i tuoni,
simili a grandi carri in folle corsa.
Le folgori squarciavano il cielo con i loro vividi bagliori
ed io guardavo attonito la natura imbronciata.
Ma poi tornava il sereno e con esso la calma nel mio animo.
Che festa allora affidare le barchette di carta
alle piccole onde del laghetto
che tutto attorno alla casa, aveva formato l’acquazzone!
Quanti ricordi mi risvegli, caro Serròne
con la tua casa coperta di legno, con le vecchie tegole
sulle quali picchiettava la pioggia
e mugolava il vento nei giorni di tempesta.
E poi l’affannosa ricerca delle lumache
consumate la sera al desco alla scarsa luce di un lume a petrolio
con un lungo sbaciucchiare per estrarle dal guscio.
Ricordi, sempre dolci ricordi!
I grandi solleoni di agosto allietati dal coro stridulo
delle cicale, ebbre di luce, di sole.
Ancora il cuculo la sera si nasconde sulle fronde di un pino,
in quel tempo del mandorlo, per cullare, col suo chiù chiù,
l’uomo maturo, allora il fanciulletto.
Dalla collina osservavo la cerchia dei monti che
stagliava l’orizzonte e mi sembrava immensa, infinita
nei verdi anni, troppo piccina oggi.
Nella valle attigua i grilli innalzavano il loro cadenzato
zirlìo quasi in omaggio alla luna che occhieggiava dall’alto.
Vecchio Serrone! Cambiati sono i tempi, diversa è l’età,
ma il tuo contatto mi riporta in quel mondo fantasioso
che sogno sempre, anelo,
e su cui volentieri mi ripiego.

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IL FORNO

É nato di pietra
e di mattoni
per accostare
un pò di preistoria
a questa dura era
del cemento.
Ed or che vedo
faville sfolgorare,
ora che sento
della legna
il creptio,
rimembro una madia
intrisa di farina,
pane fragrante
uscir caldo
dal forno.

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LA FESTA

Ricorre tutti gli anni
la gran festa;
è legata al profumo
delle rose.
Oggi, come allora:
scintillio di luci,
corse di cavalli,
addobbi, scampanio
festoso.
Madonna, mentre scendi
dall’altare,
in manto bianco,
tenendo tra le braccia
il Tuo Figliolo
rivolgi a noi
pietosa lo sguardo,
proprio così:
oggi, come allora!
e della vita.

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PAESE MIO

Tutto mi è caro di te:
piazze, chiese, viuzze strette,
indizio della sua origine araba,
di cui portavi il nome
in un tempo non lontano.
Quante volte ti sognai
negli anni turbinosi
dell’infelice guerra
che mi strapparono alle tue mura,
agli affetti domestici,
e come esultai d’infinita dolcezza
nel poterti riabbracciare.
Paese mio, ubicato sulla collina,
molto vicino al mare africano,
capovolto nelle acque purissime
del Lago Arancio nei giorni sereni,
mi piace vivere nel tuo seno
ed ammiro estatico i tuoi dintorni.
La Gran Montagna, verde di pini adolescenti,
manda effluvi resinosi verso di te,
il torrente Rincione ti scorre ai piedi
sinuoso tra gli oleandri multicolori,
nella vallata vicina;
Adragna con i suoi villini a nord-est
ingentilisce la tua veste;
Adranone, in cima al monte
con i ruderi di antichissime civiltà
arricchisce una storia che affonda nei secoli.
Sambuca mia, spero non lasciarti mai.

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MARZO

É come un bimbo capriccioso,
le sue sembianze sono molto varie.
Addensa in ciel le nubi più fosche,
e poi sorride ammantato di turchino.
Il sole inonda i campi di sua luce,
evidenziando colori gai;
ed ecco si rabbuia, si tinge di bigio
per mostrarci il cupo volto dell’inverno.
Ma poiché segna la grande vigilia,
mi piace Marzo con le sue bizzarrie.
Se grandine, pioggia, vento, neve
si scatenano a tratti, ci rallegra
col garrito giocondo d’una rondine
che altre ne prelude quando il mese
volge alla sua fine.

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MATTINATA

É un mattino
dei primi di novembre.
S’ode il trillo
del cardellino,
il verso roco
della gazza ladra.
Un calabrone,
stanco di sugger
mille fiori,
si posa ai miei piedi.
L’aria ha la purezza
del diamante:
immagini terse,
luminose, contorni
ben delineati.
Non una piccola aura
che turbi l’ascesa
verticale del fumo
dei tralci della vite
che il previdente
contadino brucia.
É un mattino che
nella terra mia,
assume l’aspetto
dell’Aprile.

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LAGO ARANCIO

Placido, tranquillo ti adagi sul terreno,
dove prima le mèssi dorate,
ondeggiavano gonfie,
al caldo sole di giugno.
Una diga ti ha generato.
Al tuo ridosso la Tardàra
con gli strapiombi, ove le cornacchie
costruiscono indisturbate
il loro nido.
Ed ora le acque azzurrissime,
a volte grigie o verdastre,
a seconda del mutare del cielo,
s’increspano dolcemente
e le piccole onde vanno
ad infrangersi
tra le pietre
e le sterpaglie della riva.
Mi piace osservarti quando
vedo capovolti nel tuo specchio liquido
il mio paese ed i monti che ti fanno corona.
Lago Arancio, quando ti ammiro
il mio animo si riempie di quella
indisturbata, profonda dolcezza
che racchiudi sovrana nel tuo seno…

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