L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile. L’essenza della grafica induce spesso e giustamente all’astrazione. Nella grafica albergano i fantasmi e le fiabe dell’immaginazione e nello stesso tempo si rivelano con grande precisione. Quanto più puro il lavoro grafico, vale a dire quanto maggiore l’importanza attribuita agli elementi formali sui quali si basa la rappresentazione grafica, tanto più difettosa la disposizione a rappresentare realisticamente gli oggetti visibili.
Gli elementi formali della grafica sono: Punti, energie lineari, piane e spaziali. Un elemento piano che non si compone di elementi secondari è ad esempio un’energia, con o senza modulazioni, tracciata con una matita a mina grossa. Un elemento spaziale è ad esempio una macchia vaporosa e nebulosa, fatta, per lo più a pieno pennello, con varie gradazioni d’intensità.
Sviluppiamo quanto detto: facciamo, disegnando un tracciato topografico, un breve viaggio nel regno di una migliore conoscenza. Superato il punto fermo, si ha la prima azione motoria (la linea). Dopo poco una sosta, per riprendere fiato (linea spezzata ovvero, se ci fermiamo più volte, linea articolata). Occhiata all’indietro, per vedere quanta strada abbiamo fatto (contromovimento). Si riflette sulla via da seguire (fascio di linee). Un fiume vorrebbe ostacolarci il cammino, e noi ci serviamo di una barca (movimento ondulatorio). Più a onte avremmo trovato un ponte (arcate).
Al di là del fiume troviamo uno che, come noi, vuole raggiungere il luogo di una migliore conoscenza. Dapprima siamo uniti dalla gioia (convergenza) ma un pò alla volta si manifestano divergenze (due linee ad andamento autonomo). D’ambedue le parti, una certa eccitazione/espressione, dinamica e psiche della linea).
Attraversiamo un campo non arato (superficie percorsa da linee), poi un fitto bosco. L’altro si smarrisce, cerca, e descrive perfino il classico tracciato del cane in corsa.
Del tutto calmo non sono più neppure io: sopra un nuovo paesaggio fluviale, grava un banco di nebbia (elemento spaziale), che però dopo poco si dirada.
Dei canestrai tornano a casa sul loro carro (la ruota); con loro, un bimbo gaiamente riccioluto (movimento a spirale).Più tardi, l’aria si fa afosa e scende la notte (elemento spaziale. All’orizzonte, un lampo (linea a zig zag), ma sul nostro capo ancora qualche stella (una seminata di punti).
Ben presto siamo alla nostra prima tappa. Prima di addormentarci, parecchie cose riappariranno sotto forma di ricordi, che un viaggio del genere lascia molte impressioni.
Le linee più varie; macchie, puntini, superfici uniformi, superfici variolate e striate; movimento ondulatorio , movimento frenato e articolato; contromovimento; intreccio e trama; muri e squame; monodia e polifonia; linea che si perde e si rafforza (dinamica).
La serena uniformità del primo tratto, poi gli ostacoli, i nervi! Il tremito rattenuto, la carezza di augurali venticelli. Prima del temporale, l’assalto dei tafani! L’ira, la strage.
Le buone cose quale filo conduttore, anche nel folto, anche nel buio. Il lampo richiamava quel diagramma della febbre. Di un bambino malato… Un tempo.
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Ho elencato elementi della rappresentazione grafica, che devono manifestamente appartenere all’opera. Quest’esigenza non va interpretata nel senso che un’opera debba consistere di meri elementi: gli elementi devono produrre forme, senza tuttavia immolarvisi, anzi conservando se stessi.
Ne dovranno per lo più concorrere parecchi, onde dar vita a forme o oggetti, ovvero a cose di secondo grado: superfici formate da linee che entrano in rapporto vicendevole (ad esempio alla vista di corsi d’acqua piuttosto mossi), oppure immagini spaziali formate da energie con rapporti di terza dimensione (un brulichio di pesci).
Grazie a tale arricchimento della sinfonia delle forme, si moltiplicano all’infinito le possibilità di variazione e con esse le possibilità ideali d’espressione.
Al principio v’è l’azione, certo, ma al di sopra sta l’idea. E dal momento che l’infinito non ha inizio preciso, ma anzi come il cerchio ne è privo, l’idea può essere considerata primaria. In principio era la parola, traduce Lutero.
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sulle tracce di Paul Klee e Vassily Kandiskji
Il movimento sta alla base di ogni divenire, Nel Laocoonte di Lessing, sul quale ci perdemmo in tante meditazioni giovanili, si dà grande importanza alla differenza tra arte temporale e arte spaziale; il che, a considerare meglio, non è che dotta illusione, perché anche lo spazio è una nozione temporale.
Un punto si fa movimento e linea: ma questo richiede del tempo. Altrettanto allorché una linea si trasforma un superficie; analogamente per il movimento da superfici a spazi.
Forse che un’opera figurativa nasce d’un tratto? No, viene costruita pezzo per pezzo, non diversamente da una casa.
E forse che lo spettatore ne viene a capo, con l’opera, in quattro e quattr’otto? (Spesso purtroppo è così).
Non dice appunto Feuerbach che, per comprendere un quadro, ci vuole una sedia? Perché la sedia?
Perché la stanchezza delle gambe non turbi lo spirito. A stare a lungo in piedi, le gambe si stancano. Dunque, ambito: il tempo.
Carattere: il movimento. Temporale è solo il punto morto in sé.
Anche nell’universo, il movimento è il dato. Sulla Terra, l’inattività è il momentaneo arresto della materia. Considerare tale arresto come primario è un errore.
La Genesi della Scrittura è un’ottima allegoria del movimento. Anche l’opera d’arte è in primo luogo genesi, ma se ne può avere l’esperienza (soltanto) come di un prodotto.
Un certo ardore a divenire si sveglia, si comunica attraverso la mano, fluisce alla e sulla tela, sprizza quale scintilla, e chiude il cerchio, là donde è venuto: nuovamente all’occhio e oltre (a un centro motorio, di attività volontaria, di ideazione).
Temporale è anche l’essenziale attività dell’osservatore . Questi porta un pezzo alla volta alla pupilla, e per concentrarsi su un nuovo frammento, deve abbandonare il precedente.
A un certo punto smette e se ne va, come l’artista, se poi ritiene che ne valga la pena, torna indietro, come l’artista.
Per l’occhio dello spettatore che va saggiando qua e là come un animale brucante, sono predisposte, nell’opera d’arte, delle vie (nella musica – lo san tutti – dei canali conduttori per l’orecchio; nella rappresentazione scenica, le une e gli altri).
L’opera figurativa è nata dal movimento, è essa stessa movimento fissato e viene percepita col movimento (muscoli oculomotori).
5.
In passato si rappresentavano cose visibili sulla terra, cose che volentieri si vedevano o si sarebbe desiderato vedere. Oggi la relatività delle cose visibili è resa manifesta, e con ciò si da espressione al convincimento che, rispetto all’universo, il visibile costituisca solo un esempio isolato e che esistano, latenti, ben più numerose verità. Il significato delle cose si moltiplica e si amplia, spesso apparentemente contraddicendo l’esperienza razionale dello ieri. Ci si sforza di rendere essenziale il fortuito.
[…]
VISIONE E ORIENTAMENTO
NELL’AMBITO DEI MEZZI FIGURATIVI
E LORO ASSETTO SPAZIALE
Conferenza tenuta da Klee in occasione di una mostra di
sue oper al Kunstverein di Jena il 26 gennaio 1924. Pubblica-
ta per la prima volta nel 1945, con il titolo “Uber die moderne
kunst (Sull’arte moderna), Verga Benteli, Bern.
Signore e signori! Prendendo la parola qui, al cospetto dei
miei lavori, che in verità dovrebbero parlare una loro propria lingua, mi chiedo preoccupato
se vi siano motivi sufficienti e se riuscirò a farlo in maniera conveniente.
Pecche, se come un pittore mi so in sicuro possesso dei mezzi per avviare altri nella direzione
in cui io stesso sono spinto, dubito di poter indicar loro altrettanto sicuramente, con la parola,
le vie da seguire. Mi conforta tuttavia il pensiero che il mio
discorso non si rivolge a voi come tale, isolato, ma che seno ha solo il compito di completare e
precisare le impressioni, forse ancora un pò sfocate, suscitate dai miei quadri.
Se ciò dovesse in parte riuscirmi, ne sarò lieto, e il mio discorso avrà un senso.
Allo scopo di evitare, inoltre, il biasimo del detto «artista, lavora e non fare chiacchiere», da
parte mia vorrei prendere in considerazione soprattutto quelle fasi del processo creativo che
durante lo sviluppo di un lavoro artistico si svolgono più che altro nel subcosciente. Personalmente,
ritengo questo l’unica giustificazione del discorso di un artista: spostare il centro di
gravità osservando con nuovi mezzi, e così alleggerire alquanto l’aspetto formale volutamente
sovraccaricato conferendo maggior vigore
all’aspetto contenutistico. È una forma di compensazione
che mi stimolerebbe, e mi renderebbe più familiare il compito di spiegarmi con
concetti e parole. Ma questo significherebbe pensar solo a me
stesso, dimenticando che la maggior parte di voi ha più familiarità con i contenuti che
con le forme. Non potrò dunque fare a meno di spendere qualche parola anche sulle questioni formali.
Vi aiuterò a dare uno sguardo all’officina di un pittore, dopodiché c’intenderemo meglio.
Deve pur esistere un terreno comune a profani e artisti, un terreno sul quale sia possibile
un incontro, sul quale l’artista cessi di apparirvi come qualcosa di estraneo.
E vi appaia invece come un essere che al pari di voi, non richiesto del suo parere, è stato
gettato in un mondo proteiforme, in cui bene o male gli tocca raccapezzarsi.
Un essere che differisce da voi solo perché sa trarsi d’impaccio con i suoi specifici mezzi e
che perciò a volte è forse più felice di chi non crea, di chi non può liberarsi creando.
Vantaggio relativo, che vorrei ben concedere all’artista, il quale per altri riguardi si trova
in una situazione alquanto difficile. Permettetemi di ricorrere a un paragone, il
paragone con l’albero. In questo mondo proteiforme, l’artista si è dato da fare e,
ammettiamolo, in parte almeno ci sii è, alla chetichella, raccapezzato. È così bene orientato da poter
imporre un ordine alla fuga delle parvenze e delle esperienze. Quest’orientamento nelle cose
della natura e della vita, questo complesso, ramificato assetto, mi sia concesso di
paragonarlo alle radici di un albero. Di là affluiscono all’artista i succhi, che ne
penetrano la persona e l’occhio. L’artista si trova dunque nella condizione del tronco.
Incalzato e commosso della possanza di quel fluire, egli trasmette nell’opera ciò che ha visto.
E come la chioma dell’albero si dispiega visibilmente in ogni senso nello spazio e nel
tempo, così avviene con l’opera. Nessuno vorrà certo pretendere che
l’albero formi la sua chioma sul modello della radice. Non v’è chi non si renda cinto c he non
può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto. È chiaro che funzioni diverse
devono, in diversi ambiti elementai, dar luogo a cose notevolmente diverse.
Ma appunto all’artista a volte si vogliono interdire queste deviazioni dal modello, deve
necessarie dai mezzi figurativi stessi. Presi dalla foga, si è giunti persino a incolparlo di
impotenza e premeditata falsificazione. E dire che, nel luogo assegnatogli, quello di
tronco, egli non fa altro che raccogliere e trasmettere ciò che viene dal profondo. Nè servo
né padrone, egli è solo mediatore. occupa dunque una posizione davvero modesta.
E non è lui la bellezza della chioma, questa è soltanto passata attraverso lui.
Prima di giungere alla chiarire ciò che ho paragonato alla chioma e alla radice, devo
premettere qualche altra considerazione.
Non è facile raccapezzarsi in un tutto composto da membri appartenenti a dimensioni diverse.
E un tutto del genere è, accanto alla natura, anche la rimodellata immagine di questa: l’arte.
È difficile abbracciare con lo sguardo un tutto del genere, sia esso natura o arte, e ancor
più difficile aiutare altri a farlo. Ciò dipende dal fatto che parlare di
un’immagine spaziale in modo che ne risulti una rappresentazione plasticamente chiara ci
son dati soltanto dei mezzi temporalmente distinti. Ciò dipende dall’insufficienza della natura
temporale del linguaggio. Ci mancano infatti gli strumenti per parlare
sinteticamente della contemporaneità pluridimensionale.
E nonostante tale insufficienza dobbiamo occuparci a fondo delle parti.
Ma per quanto ogni parte già costituisca un ampio campo di esame, dobbiamo sempre tener
presente che si tratta appunto di un atto parziale, per non perderci poi di coraggio quando
nuovi atti parziali conducono in un’altra direzione, verso altre dimensioni, in una lontananza
dove il ricordo delle dimensioni con cui si è avuto a che fare prima possa facilmente impallidire.
A ogni dimensione che temporalmente scada, dobbiamo dire: sì, tu ora divieni passato;
ma chissà che nella nuova dimensione, prima o poi, non ci si imbatta in un punto critico, e
forse propizio, che ristabilisca la tua presenza. E se, aggiungendosi dimensione a dimensione,
dovesse riuscirci sempre più difficile tenere contemporaneamente presenti le varie parti
di questo complesso, ebbene: ci vuol pazienza, tanta pazienza.
Quel che ormai da tempo è una conquista delle cosiddette arti spaziali, quel che anche
l’arte temporale della musica ha realizzato nella pregate sonorità della polifonia, questo
fenomeno di simultanea pluridimensionali, che consente al dramma di raggiungere il proprio
culmine, purtroppo nel campo del linguaggio didattico ci è sconosciuto.