POESIE
Il lamento dell’oblio – Oggi è l’ora della messa – Genesi – Mia madre – Alla mia donna – Mio padre – Ritratto
PRESENTAZIONE
La poesia di Bonagiuso ha un forte sentore di vita; essa è come l’eco prolungata del suo appassionato dibattere con gli altri e con se stesso. La misura lunga, prevlete nei uoi componimeni, risponde ad una pienezza di cuore, ad un tumulto di affetti e di pensieri, che vogliono spandersi, donarsi all’altro con larga generosità.
Il centro della lirica, risiede in una risentita coscienza etico-religiosa, di cui è nucleo profondo.
Bonagiuso usa non poco la sferza del sarcasmo, ma forse ancor più con se stesso che con gli altri: egli si guarda spesso allo specchio e si giudica con occhio acuto e impietoso, arrivando all’auto flagellazione. Ma, questa non è che l’altra faccia del suo rigore morale, il quale è anche e soprattutto intelligenza critica e autocritica.
É proprio questa intelligenza critica, che illumina e demistifica, gli aggrovigliati meandri della realtà magmatica e profondamente oscura a rendere più umano e, a tratti, patetico il moralismo di Bonagíuso: il suo acume critico gli prospetta la difficoltà oggettiva di inventare i propri ideali e i propri valori, a cui, tuttavia, egli non sa ne vuole rinunciare.
La vena espressiva di questa lirica, traduce invece, l’impulso e l’amore di donarsi e di dirsi, l’amore nel senso più totale di questa parola, è, forse, la cifra più genuina della voce di questo giovane poeta: amore intenso per la sua donna «l’amore per gli amici, per la madre e il padre; per le sue “radici” isolane e marinare, che hanno depositato nella sua memoria, dolci e tenaci, parole
Antonino Sole
(Doc. di Lett. It. e Rinasc. Università di Palermo)
INTRODUZIONE I MONOLOGHI
Il nocciolo, il fulcro e il comune denominatore di questa straordinaria carrellata di «Soliloqui drammaturgici» di Giacomo Bonagiuso risiedono in quella magistrale composizione dal titolo: “Dramma allo specchio”: il guardarsi dentro, attraverso un primo approccio con la rappresentazione di se stesso attraverso il riflesso “obiettivo” di ogni possibile espressione della propria mimica facciale, davanti ad uno specchio… Una sorta di esercitazione psico-mimica, suggerita dal grande psicologo William James, secondo il quale, un individuo può vincere la sua timidezza e insicurezza, assumendo davanti ad uno specchio un’espressione spavalda ed aggressiva. […].
In “Il marchio dei padri” troviamo una rovente accusa contro l’intolleranza razziale, religiosa ed etnica di cui i fatti contemporanei danno ampia testimonianza.
E che dire di quella originalissima piece “I pazzi di Gèricault”, in cui un intellettuale ed esteta delle arti figurative, trovandosi nel dubbio allucinante di porsi di fronte ad un quadro contraffatto del grande pittore francese o al cospetto di un suo autentico capolavoro, finisce in un baratro schizofrenico, perseguitato dallo sguardo sconvolgente di quel volto, sperduto nell’arcano terrore dell’al di là?
E del “Lamento del Cristo redivivo” dove Gesù, inchiodato, in questa sua nuova missione redentrice, ad una croce d’oro, rifiuta dinanzi agli uomini e al Padre Celeste il suo ruolo di martire fastoso, dietro cui si nasconde l’inattendibilità di una Chiesa opulenta che lo ha trasformato in un idolo di lusso e rifiuta quel calice svuotato di ogni significato di Redenzione divina? […]
Franco Calvanese
(Drammaturgo, poeta, attore)
NOTA DELL’AUTORE
Ho voluto raccogliere queste “mie cose” a cui sono molto legato, in un vero e proprio volume, per conservare tra le pieghe del cuore qualche frammento di “questo spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Spero tra venti o trent’anni di sfogliare questo volume con lo stesso entusiasmo con cui l’ho scritto ed impaginato ora.
L’emozione, tuttavia, fa tremare la penna anche adesso che mi appresto a festeggiare i miei ventuno anni. Accettate con spirito aperto l’umile contributo che un giovane “sacerdote” dell’arte e dell’impegno tenta di darvi; anche perchè è da me lontana ogni vanagloria e ogni possibile alterigia.
Dirò soltanto che ho voluto intitolare questa raccolta “Nòstoi” perché In questo sintagma greco è espresso con forza tutto il senso (Inesprimibile In italiano) di quel “Ritorno in se stessi”. di quel “rientro nel cuore”, di quella “riconquista di sè” che ho cercato di condurre in porto con i miei versi e i miei monologhi. Riconquista di sè che implica, consentitemelo, anche l’impegno sociale e civile contro la violenza, il sopruso, la mafia, il soggiogamento delle coscienze, che ho sempre cercato di portare avanti nell’umiltà dello spazio concessomi.
Auguro a tutti voi, lettori, di “salpare” con le vostre certezze e di ritornare a voi stessi pieni di dubbi, necessari per quegli uomini che, consci di non essere mai perfetti, hanno sempre voglia di “crescere ancora“.
31 maggio 1993
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A Falcone e Borsellino
Un silenzio rovente di tombe violate
dal discorsi politici della mafia
ha esultato il suo sdegno
scomodo
di famiglie sventrate nel cuore.
É esploso il silenzio
nelle piazze prima complici
dell’omertà tra la gente
paurosa
timorata di Dio e dei padrini
spaventata dall’inferno e dal sangue.
Basta piangere sopra la memoria dei cadaveri!
Basta!
Lasciamo loro almeno il riposo dei grandi.
Ho visto fin troppo
per avere solo vent’anni.
Abbiamo pianto troppo
per essere uomini.
Ascoltate nelle parole quel violento
passo impetuoso di vento.
Riconoscete nei toni la rabbia piú nera.
Ascoltate nel cuore solo sdegno e sgomento.
Dipanate nella testa i mille e mille pensieri…
…porsi una mano sul cuore non basta…
…reagire è un dovere…
Ma all’ombra dei palchi
solo il silenzio imperversa
nevrotico e assordante.
Ti ripeschiamo dai fossi
Giovanni Falcone
perché i morti ci insegnino
ancora una volta a vivere
ti trasportiamo ancora dalla vita
Paolo Borsellino
perché il sogno non tramonti per sempre.
Gridiamo oggi
in una piazza paesana
la paura d’ognuno a saltare per aria.
Sussurriamo decisi alle vostre orecchie
– morti per la Pace –
la volontà di riscattarci dall’onta
dalla piaga, dal sangue:
che si chiama mafia
ma che non merita nome:
che uccide e che spegne
ma che è simile al fango:
che ci ricatta e minaccia
ma che è destinata al suicidio
e che è lì
forse anche qui, tra noi
e che è pronta a colpirci come a colpito voi
– giudici della verità –
ma che non avrà mai più attorno
il lamentoso silenzio dell’oblio.
Grideremo per voi – Giusti profanati – :
Parleremo con voi – cadaveri scomodi – :
con le nostre parole animeremo
il vuoto delle vostre voci
costrette per sempre al silenzio
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Oggi è l’ora della messa!
La peste ha già invaso le radici.
Il sudario su cui l’hanno steso
olezzava ancora del sonno della morte
per guarire le piaghe infette
con nuovi formicai di paure.
Oggi è l’ora della messa!
La campana del bosco ha già
radunato i canguri sotto casa
e più in là si annusava
convinto il Re dei topi
per lo scandalo d’un morto
trovato nelle cave, a Siracusa.
Oggi è l’ora della messa!
Piangono le donne appese
ai baffi dei mariti
vecchi e senza storia
morti e mai cresciuti.
Oggi è l’ora della messa!
La peste ha devastato il camposanto
riposeranno sulle pietre
le anime sfrattate
dagli alloggi del destino
dalla pietà dei congiunti.
Oggi è l’ora della messa!
Piangono sui rintocchi della morte
le fasce dei bambini senza padre
con i sorrisi delle bàlie
appesi sotto i denti da latte
-quelli da cambiare-.
Oggi è l’ora della messa!
Stanno panificando ancora
i fornai clandestini
vendono i loro pani
ai brigadieri di confine:
all’Ucciardone passano siringhe
piene di veleno da mangiare
con il pane da gettare.
ggi è l’ora della messa!
Chiedono le figlie un buon marito
chiedono le spose un figlio nuovo:
i padri desolati, le madri fatiscenti
maddalene dolorose piene di pianto.
Oggi è l’ora della messa!
Cadono i lenzuoli dove stendere
il diluvio universale della gente
con i devoti in prima fila
sulle piaghe del Signore
ad impastare gomma americana
per pulire i denti dei bambini
sporchi delle ossa dei mafiosi.
Oggi è l’ora della messa!
Statuaria ed impotente, Maria
stava sull’altare col suo figlio
piccolo e grande salvatore
innocente e latitante
dalle cave del dolore
dove croci e gran giudizi
impetrano nel tempo
lo stemma del terrore.
Oggi è l’ora della messa!
Benedici, Sacerdote,
benedici questo grano
consacra questo vino
e versalo. Com’è sempre,
nel pozzo della gente
perchè ottunda il proprio male
perchè il lamento si zittisca
in un momento.
Oggi è l’ora della messa!
Questa è l’ora del perdono!
Perchè la vera fede è fede
nell’assurdo; perchè il vero amore
risiede nei cuori; perchè la
devozione vincolata alle statue
impotenti abbassa l’uomo al
livello delle bestie;perchè le
campane secolari smettano una
volta per tutte di suonare a morto
sul cadavere dell’uomo ucciso
dalla mafia dei potenti..
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Creò la vita e la lasciò appesa
al rantolo dell’incoscienza.
Creò la scelta e la imprigionò
nei cardini della tentazione.
Si dichiarò amico
e tradì la fiducia col peccato.
Prospettò oceani di promesse
e vendicò l’onta col dolore.
Aspettò che il suolo producesse
i suoi germogli
per inondarli col diluvio.
Aspettò che i semi fossero
rigonfi di vita nuova
per tradire il figlio
con il frutto della colpa.
o spinse quasi al suicidio
sino alle soglie della follia
cercando una conferma
o forse solo fiducia.
Amò tanto da processarlo.
Amò tanto da condannarlo.
Attese notti intere
che il creato fosse perfetto
per tuffarvi dentro i fiumi
un pantheon di misteri
troppo oscuri alla ragione
troppo osceni al sentimento.
Quando la terra produsse il grano
vide la vita esplodervi dentro;
quando la vite produsse il vino
vide il sangue scorrervi dentro.
Sdoppiò se stesso, si triplicò
parlò con mille voci
lanciò mille promesse
sorrise e rattristò
gioì e vide speranza:
salvezza e redenzione.
Col fuoco e la tempesta
col fulmine e il rosario
col perdono e col castigo
temprò di sè il burattino
spronandolo oltre i fili
spingendolo oltre se stesso.
Quando lo fece schiavo
forse ne ebbe rimorso.
Quando si liberò
forse ne ebbe paura.
spezzò la roccia della legge,
arse l’arca del contratto,
entrò nel tempo a squarciagola
sfasciò la logica razionale
morì, rivisse e se ne andò
-per sempre, forse-
per rimediare al torto fatto
nell’Eden solitario, infelice
e maledetto.
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Vent’anni sono passati
come un lungo respiro
tirato al vento senza guardare.
E sono passato dalla culla
delle tue braccia
alle strade polverose del mondo.
Ma la tua mano, ora, è forse
più stretta alla mia.
Lo è per quel fermento
protettivo e materno del tuo cuore
che sussulta al rapido
tardare di un secondo.
Lo è per quell’istinto
cieco ed irrazionale che
prolunga quel cordone ombelicale
che c tra un figlio e sua madre.
E quei vent’anni, però,
non torneranno più.
Scusa, madre, per i sussulti
irrequieti, per le offese sgarbate
per le bestemmie d’un figlio
impaziente d’essere grande.
Ma mi rendo conto che
anche da grande,
tu sarai sempre più grande di me.
Con la tua mano, ora piccola,
con la tua voce più rauca
con i capelli più grigi
e con l’amore più grande,
tu sarai sempre sopra di me.
Te lo giuro, madre,
il tuo perdono mi spinge
ancora a tante mete,
che saranno tue, se vuoi….
Ma i ricordi sommergono
i giorni presenti e
l’incandescente travolgersi degli anni
torna imperioso.
Eri con me nel primo amore,
e c’eri anche nei trionfi scolastici,
ed eri, e sei lì seduta, a vedermi su un palco.
C’eri, ci sei, ci sarai
sempre
mamma
con me.
Donare il proprio cuore, la propria
esistenza, tutto ciò che si ha
dentro ad un altro non è sempre
facile e fecondo; madre, tu con
me lo hai fatto, continui a farlo ed
in cambio non ho che dedicarti
pochi versi.
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Tu pensi che sia normale aspettare da solo
dopo aver dato un calcio al mio passato
che qualcosa cambi nella mia vita?
Pensi che sia gratificante vivere
con le aspettative, con le richieste
…insomma.. .con la convinzione
che gli altri hanno di me…
Una cattedra Universitaria! A che mi servira?
Oh, sì, signori! Già le vedo le flotte di ragazzine
corrermi dietro per i corridoi universitari!
Le vedo ed allora?
Non è che anche stavolta hai scambiato
la stima e l’amore?
Dovrei per forza innamorarmi di tutte loro,
non proprio di qualcuna, non solo di qualcuna!
Tu pensi che sia bello, dolce, sopportabile
amare e non essere riamati?
Tu pensi che nel vortice della mia insicura
fermezza non sia divorato dalla gelosia?
No, signori! La “mia faccia”, sì, quella che vi siete
costruiti a vostro gradimento, non la voglio più!
Ci stavo così bene senza amore -vegetavo rigoglioso-
Maledetta e stupida vita, che scherzo mi hai tirato!
Follia è l’amore? Stupido chi ama?
Bene! Sono folle e stupido,
pazzo, incosciente e irrazionale…
e… innamorato!
E pensavo con la testa e non col cuore,
l’anno scorso, -magari per farti un piacere-
che avrei potuto cancellare questa vietata ansia
d’amore, tuffandomi nell’abitudine di chi
accompagnava già i miei giorni prima di conoscere
tutta la violenza irruente e abbagliante
di un amore eterno, almeno nel mito.
Il mare, il sole, la vita potrebbero non avere
più senso se tutto d’un tratto mi sparisse quest’aria!
Vorrei respirarla, ma mi sfugge!
Vorrei carezzarla, ma svanisce dalle mie mani!
Vorrei vivere con Lei tutti i sogni,
tutti i giorni, tutta la vita …. ma lei non mi ama!
É assurdo! É così importante, eppure temo che
prima o poi vorrà fuggire via da me
quando il mio amore le diverrà odioso e opprimente!
Non credevo che si potesse amare così!
Amore! Adesso sento come un brivido freddo e incauto
che mi frastorna ogni volta che mi fermo a contemplare
anche solo una fotografia,
anche solo un’idea,
anche solo una parola!
L’aquilone perde quota, lo so;
il vuoto che spetta agli amanti non corrisposti
mi attende, è vero!
L’aquilone terminerà la sua planata sui rovi!
Ma la cecità di Eros beffardo mi consente di non vedere
di continuare ad amare, di continuare a sperare!
Ma quanto durerà questo buio?
Resisterò senza impazzire?
Ma forse non meriti questo mio tormento
e -almeno nel mito- è gia tutto finito!
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Scoprire sessantasei anni di storia
in un istante di silenzio
e di tacita osservazione;
scoprire un tesoro avaro di sè
in uno scrigno blindato
dopo aver cercato di profanarlo per anni
con la cieca anarchia del duemila
e non avere mai ottenuto nulla.
Quello che hai non conta,
come sei, forse neanche.
Quel che c’è dentro lo scrigno,
farcito di catene e cocci di vetro
di un passato sconfitto,
è un tesoro di idee non condivise
di valori per me assurdi
di parole mai indovinate
di ideali così diversi.
Ma un sangue comune, a cui non credevo,
che incide sui visi le stesse rughe di un nome,
che schiude negli occhi la luce del vero,
che pialla le mani e le forgia di forza.
scorre nell’alveo di un cuore diverso.
Padre, ti ho scoperto oggi!
Padre, ti ho scoperto forse tardi per dirtelo
forse in tempo per scriverlo in cuore.
Ho scoperto mio padre,
e nell’altro, severo, un pò tirchio, testone
ho rivisto me stesso.
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Un incorregibile occhio guardone
spiana la fronte dei silenzi denutriti
nell’apocalisse del mio cuore annegato.
Ho provato ad amare
e nello specchio il riflesso è dolore.
Ho creduto d’odiare
e il mio viso s’è tinto di bianco.
Ho provato a morire
ma l’istinto ha saltato il fosso.
Un incorregibile occhio indagatore
immortala in una foto a bianco e nero
il mio profilo grassoccio -come in uno spot-.
Mi hai chiesto un ritratto,
dov’è la mia tavolozza?
Hai chiesto una tela, dov’è la verità da dipingere?
Picasso smalizziato, rendimi i miei contorni!
Ingegnere fallito, hai rovinato il mio viso!
Resto li, ancora un istante, a giocare col fumo.
Resto li, rincoglionito come una foglia secca,
ad aspettare un tuo cenno con la mano.
Hai le dita secche e lunghe, ben curate.
Il mio viso è screpolato dalla delusione.
Dipingo la prima nota? La mia intelligenza!
La seconda? L’immodestia.
Proseguo? Ma non c’è malizia in questo quadro?
Ancora colore? Tutto l’amore che ho dentro.
Un altro strato? La solitudine immane.
Basta pittore, non continuare oltre,
potrebbero venirmi dei dubbi:
coraggio e viltà, se mai li ebbi
forza e debolezza, se mai ho combattuto
illusione e panico, se mai ho avuto storia
tutto e niente, in un attimo eterno.
Smontalo quel cavalletto,
stracciala quella tela.
Anzi no, conservala!
Alla mia donna potrebbe piacere;
potrebbe divertirsi a guardarla
a scrutarla tra una predica e un bacio
tra il sacro e il profano, tra me e lui
tra la voglia e lo schifo
tra il pianto e il sorriso…
Lasciala sotto casa sua
potrebbe ancora ridere un pò
dell’ultimo atto del giullare
dell’ennesima idiozia di un buffone.
Quanto ti devo, pittore?
Quanto?
Ti pagherò con la mia naima!
Stai attento, però, è un conto scoperto…
…l’amore me la sta divorando.
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