Don Giuseppe Cacioppo – Poesie


Don Giuseppe Cacioppo – 
nacque a Sambuca di Sicilia il 16-6-1882, «in un’epoca in cui la storia del mondo, dopo aver voltato pagina con la rivolu­zione francese e l’affermazione dei suoi principi di fratellanza, di ugua­glianza e di libertà, si avviava a de­scrivere il cambiamento del volto del­le nazioni».
Entrò in seminario all’età di 14 anni nell’anno 1896 e quivi studiò sino al termine del liceo. Compì gli studi teo­logici a Roma, nel collegio Leoniano dove conseguì il titolo di Baccelliere;

Ordinato sacerdote il 30 marzo 1907 in­traprese l’insegnamento affidatogli dal Vescovo di Agrigento Monsignor Lagumina.

In Seminario insegnò lettere, prima nel ginnasio e poi nel liceo fino alla morte avvenuta il 16 ottobre 1912, la­sciando un’impronta di cultura e un ot­timo ricordo a discepoli ed estimatori.

Di Don Giuseppe Cacioppo non è brillata solo la disponibilità e santità, ma pregevole ci si rivela e di grande valore storico la non indifferente pro­duzione letteraria. Ricordiamo:

1) Visione dantesca;

2) Tripoli (purtroppo non pervenutaci);

3) Redenzione (unica arrivata a noi);

4) Saggio su Frà Felice della Sambuca nella pittura italiana;

5) Le poesie.

Le opere, che meglio ne eviden­ziano la personalità, fondamentali sono le liriche, nelle quali emerge un alto va­lore artistico ed una squisita sensibilitàpoetica.

 

maritata Di Natale che, con il ricordo

sempre presente delle virtù esercitate dal

compianto suo fratello Peppino, ha saputo

farcelo amare malgrado non lavessimo

fisicamente conosciuto. con Filiale affetto dedico.

Vito Gandolfo


POESIE
Natale  –   Manera  –   Inno  –   Frammento –   Invito e auguri

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NATALE

Sui tetti bassi scende

Nelle solinghe tortuose strade

De l’umile villaggio

Tacita neve bianca.

Da le fessure delle porte un raggio

Di luce muore tremolante sopra

Il candido tappeto ed una stanca

Arula senza vita si distende

Ai casolari intorno.

Questa è la sera di Natale, attorno

Alla fumosa mensa

Siede lo stuolo de’ fanciulli e pensa

A la gentile festa

De la notte a la chiesa ed al presepe

Sfavillante di luce…

Or ecco si diffonde

Dal campanile aguzzo l’argentino

Sono de la campana ne la notte

E lieto al core infonde

Un palpito divino

Di speranza e d’amore

Sorriderà il Signore

Tra un nimbo d’angioletti ne la culla

Sparsa di fiori bianchi

A’ piccoli fanciulli.

Mentre da l’alto l’organo sommesso

Ne la chiesetta sparge

Le caste melodie de la zampogna

Cara al pastor che primo ne la grotta

Adorava il Messia.

Poi l’alba viene su per le finestre

Dove ripicchia il pioppo mosso al vento

E mandano le foglie su la turba

Un’onda bianca dal nitor d’argento.

Lieto e devoto ‘l canto

Mesce la gente a quel del sacerdote

Ed un soave incanto

Sacro lontan di voci si percuote

Ne la solinga valle…

Giorno di pace è questo

Giorno d’amor che a l’aure devote

Del ciel di Palestina

Cantaro in coro gli angeli del cielo…

Fuori la neve e ‘l gelo

Turbina ancor sui tetti;

Ne la chiesetta a’ piedi del presepe

Brucia l’amor ne’ petti

Immacolato eterno,

Che avvince in un fraterno

Vincol di pace i cori

Nati nel pianto e alla speranza informa

D’un ideal celeste.

Gesù divino pargoletto biondo

A la tua culla intorno

Aleggiano gli spiriti beati

Da l’arpe d’oro e gl’inni innamorati,

A la prece degli uomini congiunti,

Salgono innanzi a te come profumi

De la terra e del cielo.

Ne l’armonia di cetre si ripete

Il saluto divino,
Che a’ pastorelli d’Efrata donaro

Gli alati messaggeri

E torna a noi, sprezzando ‘l tempo edace,

Amabilmente pio:

Gloria ne’ cieli a Dio

E su la terra agli uomini la pace

5 Dicembre 1905

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MANERA

Su la recente zolla dissodata

Sparge ‘l seme ‘l bifolco e su nel cielo

Va la schiera dei falchi discacciata

Dal primo gelo;

Su le rupi de’ monti circostanti

Brucan le capre, ed alla vecchia fonte

Lenti muovono i buoi queti mugghianti

Da l’alta fronte.

Da l’alto guarda il Corvo e non minaccia

Da che la vecchia torre saracena

Ricovre ‘l solo e su la poca traccia

Cresce l’avena;

Non più rumor di bellici metalli,

Non strepitosi squilli de le trombe;

Non più l’eco sinistra de le valli

Ne l’aria incombe

Greggi su le pendici e ‘l ritornello

Che manda a l’aure tiepide e sonanti

Il pastorello.

Le greche lire e gli strumenti antichi

Toccati da le schiave tornan lieti

Al volante pensiero su gli aprichi

Boschi d’abeti

Poi che le ville greche su le falde

De le montagne si spandean congiunte

Dal verde rifuggente a l’aure calde

Di Selinunte.

La giù la striscia de la sabbia d’oro

Ribaciata dal mar calmo ed azzurro,

Qui sotto i mirti s’elevava un coro

Lieto un sussurro…

Ma ne le notti tiepide di maggio

Sorge dal fondo d’una tomba oscura

Quando mandan le stelle il mite raggio

Bianca figura.

E poi che sparse le sue trecce al vento

Posa leggier la mano su la lira,

Manda a le stelle un querulo lamento,

E ‘l piano mira.

La valle e le pendici seminate

D’avanzi muti, e manda in alto il canto,

Come l’eco di cose tramontate,

Che sa di pianto.

E dal presepe sonnolente il cane

Ulula ne la notte e si percuote

Il lontano tinnir de le campane

e l’aure vòte.

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INNO

O Salve, Girgenti, – fatidico nome,

Da l’almo collegio – dal sacro efebeo!

Ritorna quel giorno – che grande ti feo,

Quel giorno che parla – di speme e d’amor.

I secoli vanno, – nel nulla degli anni,

Ma resta ‘1 ricordo – dell’opere umane

Volute dal cielo. – Le lotte son vane

Che contro l’Eterno – rivolge ‘l furor.

Tre secoli prima, – qui c’era un maniero,

Segnacolo duro – di forza, di pianto,

Ed ora, di luce – di speme di canto

Qui s’alza, più saldo, – l’ostello al Signor.

Qui, dove la forza – regnava codarda

Sui muti vassalli, – governava l’amore;

Discende divina, – pietosa, nel core,

La voce del cielo – che spinge a virtù.

Tre secoli lunghi – di lotte e trionfi,

Di strane vicende, – di bene infinito,

Ti spingono avanti – nel calle più ardito,

Avanti, fidenti, – più in alto, più in su.

Per quante vicende – ci avvolgono intorno,

Non cede il vessillo, – s’avanza, s’avanza,

Com’onda possente – di lieta speranza,

La giovane schiera – di dietro a Gesù.

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FRAMMENTO

Non so se ti ricordi: si perdea

Tra ‘l folto verde la montana via

Sulla collina sparsa de la vite

A piè del tuo villino…

E giovanetti insieme

Tra la verzura scendevamo incontro

Alle farfalle d’oro…

Ed un tramonto venne;

Nell’azzurro infinito cinguettava

Di passeri uno stormo;

Nella striscia del mare si spegneva

L’ultimo raggio pallido di sole.

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INVITO E AUGURI

O Margherita, candida

appressati a l’altare:

è un giuramento amare

chi palpita per te.

E ne la lotta fervida

de le vicende umane

ritroverai domane

chi patirà con te

e la speranza e ‘1 nobile

senso che vien dal core,

la gioia ed il dolore

la forza e la virtù.

Così da lungi ascendere

vedrò te, o Margherita,

più lieta ne la vita

più forte, in alto, in su.

Che l’armonie ti restino

ne l’alma giovanile;

intorno spanda aprile

l’eterna gioventù.

Che sii felice, o vergine

alma innocente e buona,

ed al mio cor perdona

s’altro non sa donar,

mentre s’unisce al gaudio

puro de l’alme in festa,

mentre natura appresta

l’incanto de l’amor.

6 Luglio 1909

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